5 errori-bulldozer nel fundraising che possono travolgere i tuoi risultati

 

Quali sono i 5 errori più comuni che si trovano nel fundraising della gran parte delle piccole e medie organizzazioni non profit?

Parlo di quegli errori di pensiero ed errori tecnici normalmente invisibili a te che realizzi le attività giorno per giorno, ma che possono travolgere i risultati della vostra raccolta fondi con la stessa brutalità di un bulldozer che fa un po’ di esercizio contro una montagna di terra da scavo!

Sono certo che mi concederai questa immagine un tantino forte, perché…sono assolutamente serio!

Amministri un piccolo o medio ente del terzo settore?

Hai la responsabilità di coordinare le attività di raccolta fondi?

Sono felice di incontrarti, perché con questo articolo ho il piacere di accompagnarti a scoprire quali sono questi 5 errori.

Da quasi 12 anni faccio il fundraiser ed il consulente di fundraising per organizzazioni che assomigliano molto a quella che tu coordini.

La mia non è una lunghissima carriera, ma se consideri che bazzico in questo ambiente da quando avevo 15 anni e che ci lavoro (tanto!) e ci vivo (bene!) da quando ne ho 23, facciamo finta e per gioco che alcuni passaggi fondamentali li ho capiti e che posso anche spingermi a “fare sintesi” per gli altri che per tanti motivi hanno meno percorso di me alle spalle.

Ti dico questo per confermarti che quando leggerai quali sono i 5 errori più comuni nel fundraising delle piccole e medie organizzazioni, ti troverai a confrontarti con quelli che si ritrovano davvero in quasi TUTTI gli enti.

Addirittura in realtà che di raccolta fondi e di donazioni vivono stabilmente da molti e molti anni.

Il messaggio è: sei in buona compagnia!

Ancor più importante: posso dirti con certezza che l’aver lasciato crescere questi errori, dandogli lo spazio di mettere radici nelle abitudini organizzative, ha già trattenuto e sgonfiato il reale potenziale di fundraising di questi enti.

 

Più di così non è possibile raccogliere

Tanti amministratori dicono: “Più di così, per noi è impossibile raccogliere”.

Invece, la verità è: “Pensiamo che il nostro fundraising sia già al 100%, ma non ci rendiamo conto che invece lavoriamo al 50% credendo di essere al 100%”.

E questo lavorare col freno tirato cosa produce?

  • minori entrate, quindi
  • minore sostenibilità e possibilità di sviluppo di servizi e progetti, quindi
  • minore impatto positivo sul pezzo di mondo di cui abbiamo deciso di prenderci cura!

Insomma: il problema di aver fatto crescere la raccolta fondi con avvinghiati addosso come l’edera questi errori non è solo tuo o della tua organizzazione…è un problema che riguarda la società in cui agite!

In estrema sintesi: errori nel fundraising = meno fondi = progetti più fragili = meno risposte ai problemi sociali.

La forza di questi errori è così grande che, ironia: tu lavori sempre al 110% delle tue forze, ma i risultati sono sempre gli stessi (per non dire quando le cose vanno peggio di prima). Accidenti!

C’è poi da dire che in questa fase di forte incertezza e cambiamento, molti amministratori di piccole e medie organizzazioni non profit come la tua stanno pensando:

  • “Coi tempi che corrono, le persone continueranno a donare?”
  • “Vedremo ancora arrivare donazioni, quote soci, contributi alle nostre casse?”
  • “La nostra attività di raccolta fondi quanto risentirà dei problemi lavorativi a cui molti di noi vanno incontro?”

Ti ci rivedi? Assomigliano alle riflessioni che stai facendo tu?

Di sicuro assomigliano a quelle che sto facendo io!

 

Le prospettive del fundraising

Dopo quasi 10 anni di crescita ininterrotta per il settore, col 2020 i risultati di fundraising delle organizzazioni di ogni settore, dimensione, tipologia giuridica andranno generalmente verso giù.

A mio modesto parere, credo che per riprendere a salire fino a recuperare i livelli attuali, dovremo aspettare almeno la fine del 2023.

Del resto, ci sono tanti – mi viene da dire troppi – elementi che pesano negativamente sulle prospettive del fundraising nel prossimo periodo:

  • l’attuale blocco del paese e la sua riapertura MOLTO graduale;
  • la contrazione dei redditi alle porte;
  • il ricorso ai risparmi privati e a formule di finanziamento (leggi: indebitamento) per coprire le spese familiari ordinarie;
  • la tendenza a “fare musìna” (qui in Veneto vuol dire: risparmiare) per affrontare tempi duri e comunque per evitare di ritrovarsi in situazioni analoghe a quella che stiamo sopportando.

A dire che, oltre agli errori che tra poco ti presenterò, ci sono anche una pacca di condizioni negative esterne che ci condizionano.

Possiamo solo accettarle e andare avanti.

Si, andiamo avanti. Con consapevolezza e giudizio, senza sperare nei miracoli e con grande senso di realtà. Andiamo avanti!

Ti propongo quindi non solo di leggere la descrizione di questi errori, ma anche di applicarti per affrontarli.

Lavorando in solitudine difficilmente ne caverai un ragno dal buco: ti invito a fidarti delle indicazioni che ti presento e di discuterle – sostenendole! – a chi assieme a te governa o coordina la piccola o media organizzazione di cui fai parte.

 

1# Errore: pensare che fare fundraising sia un mestiere più nobile o intelligente di pulire le scale

Il fundraising è un “mestiere”. Apposta non uso la parola “lavoro”. O meglio…il fundraising è un lavoro, a tutti gli effetti.

Proprio per questo, un professionista qualificato (se gli lasci il tempo di fare quel che serve e hai un po’ di pazienza!), mettendo le mani dove serve produce risultati via via crescenti.

Chi invece sa fare solo pezzettini, non si aggiorna, non hai mai frequentato un’aula di formazione, purtroppo non ottiene gli stessi risultati.

Detto questo – a piena e orgogliosa difesa del lavoro nel fundraising – resta che il fundraising prima di tutto è un mestiere, che può essere svolto con pari dignità, e a volte anche con pari efficacia, tanto da professionisti che da volontari.

La storia della raccolta fondi in Italia ha la sua origine nello spontaneismo, nella filantropia e nel “fare da sé e con la comunità”.

L’organizzazione professionale del fundraising viene dopo.

Quindi, di base il fundraising è un mestiere prima e un lavoro poi.

Perciò, come ogni mestiere che si rispetti VA FATTO A REGOLA D’ARTE.

Cosa significa questo?

L’esatto contrario di quello che vogliono farti credere pletore di professionisti del fundraising, molto (troppo) attaccati all’immagine di sé che gli viene da un forte orgoglio lavorativo e da una certa mistica (maddeché?) che riveste il mestiere del fundraiser.

Certo, il fundraising è un mestiere complesso e sfidante, ma non per questo è più nobile o intelligente di pulire le scale.

Se sai come pulire le scale, chi passa sente un buon profumo e sente di essere in un luogo curato e accogliente.

L’ambiente è sanificato ed il condominio viene percepito di maggior valore.

Se sai fare fundraising, le persone sentono di poter avere fiducia e donano volentieri perché:

  • la tua organizzazione è trasparente,
  • i vostri progetti vengono considerati validi destinatari delle donazioni.

Immagino molti fundraiser con la scopa e il mocho in mano: lascerebbero le scale che sono uno schifo (io per primo non brillerei come Mastro Lindo!).

Per pulire bene le scale servono intelligenza e umiltà. Per fare fundraising anche. È uguale.

Per imparare a pulire davvero bene le scale, cosa fai? Ti ci metti, qualcuno ti insegna, ti informi sui prodotti migliori, provi e riprovi, impari addirittura qualche trucco del mestiere e alla fine dopo qualche mese o forse anno le tue scale saranno pulite a prova di criticone.

E per imparare a fare davvero bene fundraising, cosa dovresti fare?

Ti ci metti, trovi qualcuno che ti faccia da mentore o formatore, ti aggiorni e studi, provi e riprovi, impari qualche trucco del mestiere e dopo qualche anno le tue azioni di raccolta fondi saranno solide e efficaci.

Insomma, per fare del buon fundraising non ti servono necessariamente geni, plurilaureati in queste materie, primi della classe, professionisti con curriculum vitae lunghi pagine e pagine e/o con risultati eclatanti da sciorinare.

Per fare del buon fundraising ti serve avere la testa sulle spalle, avere fiducia nei metodi che altri ti possono trasferire, applicarti, provare, rischiare, ritentare, riuscire, ricominciare da capo (sempre tenendo la testa sulle spalle, mi raccomando).

Ti attrezzi con gli strumenti del mestiere, condividi piani, successi e insuccessi con chi coordina e amministra l’ente, assieme trovate un’impostazione…insomma, fai esattamente tutto quello che faresti per l’area amministrativa della tua organizzazione, per l’erogazione dei servizi ai vostri utenti, tesserati, associati e via dicendo, per la realizzazione di un certo progetto.

Come vedi, nel fare fundraising davvero non c’è più nobiltà o intelligenza di quanto ne servono per fare qualsiasi altro mestiere.

Quindi: via la mistica e via gli imbarazzi, e datti da fare, che “El mestiére se incàrna fazèndo!” (“Il lavoro lo impari facendolo!”…viva la saggezza popolare!).

 

2# Errore: credere che i risultati dipendano più dalla motivazione che dal metodo

Un’altra svista colossale che accomuna una vera valanga di piccole e medie organizzazioni non profit è credere che la motivazione faccia il 50-60-70-80-90-100% dei risultati di raccolta fondi.

Risposta: SBAGLIATO!

La motivazione fa la sua parte, si. Quando mi capita – e, ahimè, mi capita! – di affiancare organizzazioni che hanno scelto come fundraiser una persona che non è motivata, che non sente propria la buona causa dell’ente, son dolori.

Ma grazie al cielo, anche la motivazione si può aumentare.

Detto questo, è altrettanto vero che ogni tanto trovi fundraiser davvero super-motivati che poi però quanto a risultati fanno uguale a tutti gli altri.

E se non hai metri di paragone col mondo esterno, magari sotto gli occhi hai solo che fanno “così così”.

Ma perché avviene questo?

Perché – segnàtelo da qualche parte, grazie! – i risultati di fundraising dipendono comunque e sempre più dal metodo che dalla motivazione.

Ora, so benissimo che per contraddirmi stai pensando a quella volta che una consigliera priva di metodo, ma molto entusiasta facendo una telefonata di fuoco ha tirato fuori migliaia di euro in un colpo solo da un donatore che conosceva lei.

Questi “miracoli” capitano, ma non ci puoi fare affidamento. Perché non stanno dentro a un metodo, ma solo dentro all’improvvisazione del momento e in una congiunzione astrale favorevole.

Al contrario, puoi sempre fare affidamento sui risultati che arrivano dall’applicazione di un metodo di lavoro preciso.

 

Il metodo è l’alleato numero uno di chi conduce le attività di fundraising

Senza metodo, non solo non ci sarebbero risultati di fundraising che si ripetono nel tempo, ma non avresti neanche un fundraiser sano di mente!

Tenere testa a tutto quello che si fa avanti nella giornata lavorativa del fundraiser di una piccola o media organizzazione è davvero una sfida, a volte dura.

Proprio per questo, anche il fundraiser più abile e motivato, desidera e pretende di poter lavorare con metodo, con ordine, con spazi dedicati ad organizzare e pensare.

“Il fundraising vero si fa per strada”…ma si prepara davanti ad un pc e facendo riunioni!

Stando solo per strada, fidati che ti esaurisci presto ed i risultati che desideri restano sempre lontani.

Se stai solo davanti a un pc e a fare riunioni, è ancora peggio: l’ottimo è nemico del buono, per cui anche se manca qualche pezzetto, è meglio che esci per strada e che realizzi.

Detto questo, se cerchi il primo fundraiser per la tua organizzazione, oppure vuoi allargare l’ufficio, fai benissimo a cercare personale motivato, ma abbi almeno altrettanta attenzione a trovare una persona che sia in grado di fare ordine per sé e per gli altri e che ti chieda apertamente di avere del tempo per pensare, ideare, valutare, organizzare, pianificare, coordinare.

In giro c’è un sacco di gente in gamba e, in ordine di importanza, i migliori fundraiser che puoi desiderare sono sempre:

  1. organizzati,
  2. appassionati,
  3. aggiornati e formati.

 

3# Errore: fidarsi ciecamente dei modelli e delle teorie che trovi nei manuali di testo accademici

La Regola dell’80/20 è una legge di Natura che si riflette anche nella raccolta fondi.

Il succo del discorso applicato al fundraising è: l’80% dei risultati deriva dal 20% delle attività di raccolta fondi e/o del numero di donazioni.

Il fundraising si fonda sulle relazioni: è Verità Assoluta.

I migliori donatori sono quelli che hai già, cercarne di nuovi non è altrettanto produttivo. È realtà.

E dopo? Basta, o poco altro.

In 15 anni di studio e formazione continui (si, perché lavoro da 12 anni nel fundraising, ma a conoscere la scienza di questo modo ho iniziato prima), ho scoperto che tutta la letteratura sulla raccolta fondi – a livello nazionale e internazionale – richiama praticamente gli stessi principi, propone identiche metodologie e descrive le medesime tecniche.

Questo è confortante, perché significa che esiste un corpus di conoscenza e di dati statistici che provano la scientificità del fundraising.

Ma se poi passiamo alla realtà quotidiana delle piccole e medie organizzazioni non profit italiane, molto rapidamente scopri che di tutti i discorsi che trovi, a farti da faro nella notte saranno solo le poche righe del primo paragrafo di questa sezione.

La gran parte di quello che trovi nella letteratura in materia, purtroppo, tu la puoi anche buttare via! E perché?

 

Per fare statistica e scienza, servono tanti dati

Per analizzare, studiare e capire come funzionano tutte le cose bisogna raccogliere tanti dati.

Nel fundraising, sai da dove vengono tanti dati? Dalle attività delle grandissime e grandi organizzazioni.

Quelle che fanno raccolta fondi:

  • coi soldi che non hai tu,
  • con gli anni (a volte decenni) di esperienza che non hai tu,
  • che raccolgono le decine di milioni di euro che non raccogli tu (e neanche io se è per questo!).

A dire che, la letteratura del fundraising descrive un mondo che rappresenta enormi volumi di raccolta fondi, ma che conta di poche centinaia di enti nel mondo.

Prediamo l’Italia per esempio: su 400.000 enti non profit, le grandi o grandissime organizzazioni che fanno fundraising saranno non più di una quarantina. Lo 0,0001%!

Il loro mondo non è il tuo mondo, non è il mio mondo.

Per questo, della scienza del fundraising – per quel che riguarda la tua piccola o media organizzazione – terrai buoni e validi e sempre veri questi tre punti:

  • la regola dell’80/20;
  • il fundraising si fonda sulle relazioni;
  • i migliori donatori sono quelli che hai già.

Perché solo questi? Perché rispondono a leggi di Natura prima ancora che del fundraising!

Ancora una volta: lo dico con la massima serietà, non per scherzo.

Invece per il resto, un po’ devi arrangiarti e un po’ devi formarti e studiare da chi è specializzato in piccole e medie organizzazioni non profit del contesto italiano.

Scoprirai che certi modelli scritti nei libri “di scuola”, nel tuo caso vanno addirittura capovolti!

Qui di seguito ti faccio un esempio su tutti.

 

La Piramide del Fundraising

Cosa ti dice questo modello che trovi in TUTTI i libri sulla raccolta fondi?

Che i donatori diventano via via più generosi se sei bravo ad accompagnarli un passo alla volta da una piccola donazione (es: acquisto dei biglietti natalizi solidali) a una seconda donazione, a un impegno di donazione regolare, a una donazione di medio valore, quindi una grande donazione, quindi ai lasciti.

Te l’ho fatta estremamente breve, giusto per capirci.

Parti dalla base della Piramide (tanti donatori che donano poco poco) e man mano che si sale, avrai meno donatori ma più appassionati e quindi anche più generosi.

Per le piccole e medie organizzazioni questo modello è valido?

Si e no, ma tendenzialmente per te la classica Piramide del Fundraising non è un modello valido! Come mai?

Perché – nella stragrande maggioranza dei casi – per avere un numero sufficiente di contatti alla base della piramide da coltivare così come ti ho raccontato, come prima mossa dovresti investire un botto di soldi.

Così tanti che dovresti prosciugare l’intero bilancio del tuo ente anche solo per partire!

Chi può permettersi investimenti così ingenti? Indovina! Le grandi e grandissime organizzazioni, solo quelle (e qualche media coraggiosa e lungimirante).

E allora, la Piramide è sbagliata? No, non è sbagliata. Solo che se vuoi farla funzionare per la tua piccola o media organizzazione devi capovolgerla e partire dalla punta anziché dalla base.

Quindi inizierai facendo promozione dei lasciti, ti concentrerai sui grandi donatori, ne cercherai di medi, farai campagne per stimolare donatori regolari e ricorsivi, quindi ti dedicherai alle piccole donazioni.

A dire il vero, neanche questo modello che ti propongo va seguito pedissequamente.

Però, nel tuo caso è sempre più corretto e proficuo seguire la Piramide Capovolta anziché quella dritta!

 

4# Errore: tartassare troppo poco i vostri sostenitori attuali e potenziali

Nessuno si sveglia di notte sudato e trepidante per via della voglia irrefrenabile di fare una donazione.

Invece, tanti si svegliano di notte per dare una guardatina a quella cosa lasciata nel carrello di Amazon o per verificare se è uscito il prodotto del momento.

Storia triste, storia vera. Facciamoci pace!

Le persone in generale sono sensibili e altruiste. A te magari pare di no, perché non vedi fiumi di donazioni entrare nelle casse della tua organizzazione, ma in realtà è così.

Le ricerche italiane sul fundraising e sul dono tengono traccia solo di una parte delle donazioni che vengono versate.

Tenere conto di tutto è impossibile: pensa solo al contante che circola in banchetti di ogni sorta, tutto l’anno, in tutta Italia!

Quindi, se le donazioni non entrano a fiumi nelle casse della tua organizzazione, di chi è la “colpa”?

Io vivo di autocritica e in questo caso ti invito a fare altrettanto: è colpa tua!

Proprio perché nessuno si sveglia di notte col desiderio belluino di fare una donazione, sei tu che glielo devi proporre, fino a rischiare di essere insistente e, all’estremo, di essere respinto!

Aggiungici sopra che, nel marasma continuo della comunicazione moderna, per paradosso la tua organizzazione deve alzare la voce per farsi sentire, aumentando il livello di rombo generale.

Altrimenti i donatori – non solo quelli potenziali, ma anche quelli già attivi – non ti sentono proprio!

 

La solidarietà è spontanea, la donazione no

Altro concetto fondamentale con il quale devi fare i conti: la solidarietà è spontanea mentre la donazione di denaro (che è una forma di solidarietà) non lo è.

Una ricerca internazionale dice chiaro e tondo che:

  • solo il 5% delle donazioni in denaro è spontaneo,
  • il 95% che resta è il prodotto più o meno diretto di appelli di fundraising (professionale e volontaristico).

E allora, ti chiederai:

  • “Quanto devo tartassare le persone che ho attorno?”
  • “Fin dove è ragionevole osare nel chiedere e proporre di sostenere la buona causa?”

La realtà è che: finché non ricevi un “No” o un “Basta!”, tu vai avanti in tutta tranquillità.

Se ti pare troppo, in linea generale tieni conto che un giorno si e un giorno no dovresti comunicare i tuoi messaggi all’esterno, utilizzando tutti i mezzi di comunicazione che hai a disposizione (da un’affissione 10×6 metri a una telefonata).

Se ti pare vago: magari te lo spiego con davanti un piano di comunicazione efficace durante uno dei prossimi webinar mensili gratuiti di Raccolta fondi no stress.

Sempre in spirito di autocritica costruttiva, resta fisso al centro che se la gente non dona abbastanza, è più che altro una responsabilità tua.

Del resto, pensaci bene: tu stanotte per che cosa ti sveglierai?

 

5# Errore: non conoscere e non usare la “Lingua del Donatore”

Avevo accennato a questo concetto fondamentale nello  studio per far crescere il 5×1000.

Qui lo riprendo per spiegarlo nel dettaglio.

Ho appena detto che comunicare tanto, a livelli quasi inopportuni, fa il bene del fundraising e anche la felicità del donatore: c’è un mare di gente lì fuori che desidera sentire la voce della tua organizzazione, per cui è tua responsabilità precisa raggiungerli, coinvolgerli nella vostra buona causa e permettere a queste persone di fare la loro parte con una donazione.

Dunque, per riuscire in questo intento, in che modo ti devi esprimere?

Nel non profit puoi usare due lingue:

  • la lingua che usi per parlare della tua organizzazione (“l’aziendalese”), ma questa lingua NON raccoglie fondi;
  • la lingua che usi per promuovere donazioni e raccolta fondi (“la Lingua del Donatore”) ed è questa la lingua giusta per il fundraising!

Detta in altri termini:

  • se parli della tua organizzazione, non raccogli fondi;
  • se parli dei donatori e del bene che fanno per la società ed il mondo intero con le loro donazioni, raccogli fondi.

Molti amministratori, dirigenti, coordinatori di enti non profit sono innamorati della loro organizzazione.

Perché? Perché la sentono figlia loro.

Attenzione perché questo è un sotto-errore di pensiero! Le aziende non profit sono beni comuni. Sono al servizio della comunità e sono “proprietà” di chi immette le risorse per farle funzionare, non di chi le amministra e/o le governa.

Per questo motivo, anche quando vorrebbero appellarsi alla generosità delle persone, scivolano subito in frasi e formule egocentriche e autoreferenziali come:

  • “Grazie ai NOSTRI progetti…”,
  • “AiutateCI in questa sfida…”,
  • “SosteneteCI in questo nostro progetto…”,

condendo tutto il discorso con termini tecnici e da addetti ai lavori che riempiono la pancia di chi comunica e lasciano vuoto il cuore di chi ascolta o comunque riceve il messaggio.

Dovresti però fare un test: convertire TUTTA la comunicazione della tua organizzazione in “Lingua del Donatore”.

In estremissima sintesi, significa:

  • ringraziare continuamente i donatori per quello che fanno, e se anche per caso non stessero facendo nulla, li ringrazi per quello che hanno fatto prima o faranno poi. E comunque li puoi sempre ringraziare di esserci!
  • Parlare e scrivere semplice, pane al pane e vino al vino, buttando via il vocabolario degli addetti ai lavori, aborrendo “empowerment”, “generativo”, “coprogettazione”, “prossimità” e tutta una serie di vocaboli per sostituirli con la loro versione comprensibile se pur svuotata di parte di quel preciso concetto che volevi trasmettere.
  • Togliere di mezzo la tua organizzazione (nome, logo, ecc.) per lasciare il palcoscenico allo speciale rapporto che lega direttamente donatore e beneficiari (per esempio: “Grazie ai nostri progetti…” diventa “Grazie a te queste persone ora possono…”).
  • Lanciare proposte di sostegno in modo ripetuto e consistente. Ogni mese devi avere una proposta pronta e ogni mese la ripeterai almeno 3 volte. Ti pare tanto? In verità è poco, facci il callo! I donatori vogliono agire, non fare discorsi!
  • Evocare di continuo i valori che accomunano la tua organizzazione, le persone che la gestiscono, i donatori. Chi si avvicina a voi, apparentemente lo fa per amicizia o per caso: in realtà lo fa perché avvicinandosi sente risuonare il suo credo più profondo, ed è un bel suono.

E ancora alcune cosette. Ma la sostanza è questa qui sopra.

Allora, quando avrai convertito tutta la vostra comunicazione in “Lingua del Donatore”, scoprirai che nel giro di 12 mesi, facendo le stesse cose di sempre, raccoglierai più di prima.

Come è possibile?

È possibile perché hai permesso (finalmente!) a chi hai attorno di entrare in relazione e in comunicazione con te, con la tua organizzazione. Prima non era così!

Ti par poco? A me pare tanto, anche perché questo tipo di conversione la puoi fare a volte a costo zero!

 

Per concludere

Sono sicuro che in queste righe hai trovato almeno una manciata di spunti di cui saprai fare tesoro per evitare i 5 temibili errori commessi da quasi tutte le piccole e medie organizzazioni non profit che si dedicano al fundraising.

Devi correggerli tutti in una volta? Magari! Però è impossibile.

Parti dal pezzo che ti viene più facile, o da quello in cui cui riconosci una forte fragilità della tua organizzazione, e inizia – mai da solo! – a lavorarci sopra.

Vedrai che, per magia, un po’ alla volta a catena ti ritroverai a lavorare anche sugli altri errori, non tanto perché te li ho indicati io, ma perché ancora una volta è la Natura che chiama a sé un certo ordine!

Mi auguro di averti fatto buon servizio con questo articolo.

Un caro saluto a te, ogni bene e, soprattutto…avanti tutta!

Riccardo Friede

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