L’Agenzia delle Entrate e i controlli fiscali nelle ASD: due casi a confronto

Durante i  workshop  e i  corsi  che realizziamo in giro per Le Marche, non ci stanchiamo mai di ripetere che la tenuta dei libri sociali è fondamentale.

In primo luogo perché è un requisito obbligatorio previsto da tutte le normative afferenti alle organizzazioni non profit (di qualsiasi tipo).

In secondo luogo perché la loro presenza ed il loro aggiornamento sono la prova che la nostra associazione è realmente quello che dice di essere, ossia una associazione senza scopo di lucro.

Se l’Agenzia delle Entrate mettesse in discussione questa natura e la Commissione Tributaria le desse ragione, l’associazione in questione perderebbe le agevolazioni fiscali di cui gode, grazie alla suddetta qualifica di ente non commerciale.

Si troverebbe di conseguenza a pagare imposte e tasse alla stregua di una impresa commerciale.

Di seguito presentiamo due casi emblematici, che riguardano due diverse Associazioni Sportive Dilettantistiche: nel primo caso la Commissione Tributaria ha dato ragione all’Associazione, nel secondo invece ha dato ragione all’Agenzia delle Entrate.

 

Primo caso: l’Agenzia delle Entrate ha perso

Durante una verifica fiscale effettuata nella sede della ASD, l’Agenzia delle Entrate aveva rilevato degli indizi, tra i quali la mancanza di un elenco dei soci cartaceo e la mancanza del termine “dilettantistica” nella ragione sociale, che la portavano a ipotizzare:

  • la mancata partecipazione dei soci alla vita associativa;
  • la scorrettezza delle modalità di accettazione dei nuovi soci;
  • la distribuzione di utili tra alcuni soci.

L’Agenzia contestava quindi la natura di ente non commerciale e dichiarava che non si trattava di una vera associazione, bensì di un ente commerciale di fatto.

Vuol dire che l’associazione era tale sulla carta, ma in realtà operava come un’impresa commerciale.

La Commissione Tributaria Regionale di Roma, sez. XIV, ha stabilito con la sentenza n. 1002/14 del 21/01/2014 che gli indizi addotti dall’Agenzia delle Entrate non erano sufficienti a contestare la natura non commerciale dell’ente.

Per i seguenti motivi:

  • il libro dei soci era disponibile in formato elettronico, quindi non è possibile dichiarare che non fosse presente;
  • l’associazione in questione aveva uno statuto regolarmente registrato ed era affiliata al CONI tramite una Federazione sportiva e una associazione nazionale di promozione sportiva (organismi che hanno funzione di garanzia e controllo sugli affiliati);
  • la convocazione alle varie assemblee avveniva tramite regolare affissione dell’avviso nei locali dell’associazione, quindi non è possibile colpevolizzare l’ente per la eventuale scarsa partecipazione dei soci (tutta da dimostrare);
  • l’assenza del termine “dilettantistica” nella ragione sociale non cambia la natura sostanziale dell’ente, che scaturisce da quanto scritto nello statuto e dalle attività concretamente svolte dall’associazione.

In breve: le prove indiziarie (quindi non schiaccianti) presentate dall’Agenzia delle Entrate non sono state ritenute sufficienti a provare la sua tesi, ossia che l’associazione in esame fosse un finto ente non profit.

 

Secondo caso: l’Agenzia delle Entrate ha vinto

Sempre a seguito di una verifica fiscale, l’Agenzia delle Entrate constatava che nell’associazione presa in esame:

  • dai verbali delle assemblee dei soci risultavano presenti sempre e solo il presidente e la tesoriera, i quali erano legati anche dal vincolo matrimoniale;
  • alcuni libri sociali erano andati smarriti a seguito di un furto non denunciato e non meglio precisato;
  • era assente il libro dei verbali delle assemblee e delle riunioni del consiglio direttivo;
  • c’erano irregolarità nel trattamento tributario di prestazioni rese da terzi.

La Commissione Tributaria Regionale di Cagliari, sez. I, con la sentenza n.227/14 del 17/04/2014 ha sposato la tesi dell’Agenzia delle Entrate rifiutando la qualifica di Associazione Sportiva Dilettantistica all’associazione in questione e, quindi, non le ha riconosciuto i benefici fiscali previsti per tali enti.

 

Cosa ci insegnano questi casi?

Come ripetiamo spesso, le norme che regolano gli enti non profit a volte non sono esplicite, chiare e lineari.

Spesso lasciano spazio ad interpretazioni più o meno oneste dal punto di vista intellettuale.

In questo contesto, per i dirigenti delle associazioni è fondamentale:

  • essere in grado di provare la propria buona fede, l’attitudine a svolgere le proprie mansioni in maniera coscienziosa;
  • l’orientamento a gestire l’ente nella migliore maniera possibile, con le forze e gli strumenti che si hanno a disposizione.

Bisogna provare, con le carte e l’archivio delle attività svolte, che l’associazione fa quello per cui è nata.

Nel primo caso che abbiamo riportato la Commissione Tributaria ha creduto che tale buona fede ci fosse.

Invece nel secondo caso le prove addotte dall’Agenzia delle Entrate evidentemente hanno fatto pensare che il fine ultimo dei dirigenti non fosse la mission associativa.

Vuoi maggiori informazioni su questo argomento? Vuoi sottoporci un caso specifico?  Scrivici.

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