Le attività non commerciali dopo la riforma del Terzo Settore

Continuiamo il nostro percorso di approfondimento del  Codice del Terzo Settore,  esaminando le nuove regole relative alle attività non commerciali.

 

Cosa sono le attività non commerciali?

Oggi le attività non commerciali sono quelle tradizionalmente chiamate “istituzionali”, ossia quelle rivolte ai soci e volte al raggiungimento degli scopi sociali.

Il Codice del Terzo Settore cambia il punto di vista e le regole per definire le attività non commerciali.

Quando il Codice sarà effettivo (vedi il capitolo sulla tempistica), le attività non commerciali saranno le attività di “interesse generale” elencate nell’art.5 del Codice, svolte dagli enti del Terzo Settore iscritti al Registro Unico.

L’art.79 fornisce i criteri per determinare la natura non commerciale o commerciale degli enti del Terzo Settore, tenendo conto delle attività da essi svolte e delle modalità operative concretamente impiegate.

Questo articolo sostituirà l’attuale  art.143 comma 1 del TUIR.

 

Quali sono le attività non commerciali?

Il concetto di non commercialità viene spiegato nel comma 2 dell’art.79: le attività di interesse generale sono considerate di natura non commerciale quando sono svolte a titolo gratuito o dietro versamento di corrispettivi che non superano i costi effettivi.

Con lo stesso criterio descritto sopra il legislatore considera attività non commerciali:

  • le attività accreditate o contrattualizzate (gare di appalto) o convenzionate con le amministrazioni pubbliche, l’Unione Europea, amministrazioni pubbliche straniere o altri organismi pubblici di diritto internazionale;
  • la ricerca scientifica di particolare interesse sociale svolta direttamente dagli Enti del Terzo Settore o affidata a un’università o altri organismi di ricerca;
  • le raccolte pubbliche di fondi occasionali in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione;
  • i contributi e apporti dalla Pubblica Amministrazione;
  • le attività degli Enti del Terzo Settore nei confronti di associati, familiari e conviventi degli stessi in conformità alle finalità istituzionali dell’ente.

 

Quando si perde la qualifica di ente non commerciale?

Nel comma 5 dell’art.79 si stabiliscono nuove condizioni per la perdita della qualifica di ente non commerciale.

Si dispone infatti che “indipendentemente dalle previsioni statutarie”, gli enti del Terzo Settore assumono la qualifica di enti commerciali qualora i “proventi delle attività di interesse generale svolte in forma di impresa” e delle attività diverse superano nel medesimo periodo di imposta “le entrate derivanti da attività non commerciali”.

L’eventuale mutamento della qualifica di ente commerciale opera a partire dallo stesso periodo d’imposta in cui l’ente assume natura commerciale.

Attenzione: si considerano commerciali anche i corrispettivi richiesti agli associati nel caso in cui superino i costi effettivi.

 

La tempistica di entrata in vigore

Come sappiamo il Codice del Terzo Settore è entrato in vigore il giorno dopo la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (3 agosto 2017).

Ma per rendere effettive tutte le regole dettate dal Codice dovremo attendere l’emanazione di molti atti, tra i quali:

  • il decreto che renderà operativo il  Registro Unico Nazionale del Terzo Settore;
  • il decreto che definirà le attività diverse;
  • l’autorizzazione della Comunità Europea all’avvio delle misure fiscali di maggior favore per gli enti non profit, in relazione alla definizione delle attività commerciali e non commerciali.

Il Codice prevede la conclusione di questo complesso iter normativo entro 18 mesi dall’entrata in vigore del Codice stesso. Ma nessuno oggi è in grado di dire se i tempi saranno effettivamente questi.

 

In conclusione

Oggi, a riforma non ancora operativa, l’attenzione viene posta sul concetto di preponderanza delle  attività istituzionali rispetto a quelle commerciali.

La riforma cambia la prospettiva e il modo di valutare se un’attività è commerciale (quindi soggetta a imposte) o non commerciale.

Con l’introduzione del criterio del non superamento dei costi effettivi gli enti non profit dovranno necessariamente valutare come riorganizzare la propria struttura e le proprie attività.

Non sarà una riorganizzazione semplice né veloce. Per questo motivo è fondamentale che gli enti inizino per tempo a pensarci, servendosi anche del supporto di esperti di Terzo Settore.

Germana Pietrani Sgalla

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